mercoledì 30 novembre 2011

Pescatori di umanità


Oggi è la festa di Andrea apostolo, il fratello di Simon Pietro. Auguri a tutti quelli e quelle che ne portano il nome!!

La chiesa propone il Vangelo della chiamata dei primi discepoli dov'è narrato l'invito di Gesù a seguirlo con la promessa di diventare pescatori di uomini.

18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. -21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò.22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Mt 4,18-22

Alcuni interpreti propongono una lettura suggestiva sostituendo al termine uomini quello di umanità.
Sì! Gesù promette di farci diventare, se accettiamo di seguirlo, dei pescatori di umanità capaci di scovare in tutte le persone l'umanità che c'è, magari nascosta sotto strati di paura, indifferenza, egoismo, sfiducia...

Capaci di scoprire anche in noi quanto di più umano abbiamo, divenendo consapevoli delle nostre qualità, doni da mettere a disposizione degli altri.

Questa festa mi ha ricordato Vittorio Arrigoni, il pacifista italiano ucciso a Gaza nell'aprile di quest'anno e la frase con cui sempre chiudeva i suoi post: restiamo umani.
Sfida grande, quella di pescare umanità, specie dove la guerra calpesta diritti e sogni.

Anche nella nostra Europa è tempo di una grande scelta: quella di stare dalla parte dell'umanità, resistendo a tutti i sistemi che strozzano la vita delle persone e delle società.

Moni Ovadia - Il senso della vita

venerdì 25 novembre 2011

I bambini e il Bambino


Nella notte o Dio
noi veglieremo
con le lampade
vestiti a festa
presto arriverai
e sarà giorno.
Domenica prossima sarà la prima di avvento.

Ho voluto proporvi il ritornello di un famoso canto d'avvento perché contiene un sunto dei temi chiave di questo tempo forte.

Avvento fa riferimento ad un evento che deve accadere e quindi all'attesa che vi è legata. Da qui il tema della vigilanza cioè dello stare svegli nella notte.

La notte, spazio che simboleggia l'attesa della luce, è un tempo di oscurità e di fatica ma anche un tempo in cui ci si può raccogliere, ritrovare se stessi nel silenzio, lontano dal fiume di frastuono che caratterizza le nostre giornate.

Se si ha la costanza di vegliare, la notte è un tempo in cui si può vivere una fruttuosa intimità con Dio.

Certo, servono le lampade che nella simbologia biblica richiamano la stessa Parola di Dio


Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino Sal 119, 105

Ritagliarsi qualche momento di silenzio per ascoltare la parola di Dio può essere la proposta per un ottimo cammino d'avvento.

Il canto, poi, continua col presentimento di una attesa breve perché presto sarà giorno, o meglio l'arrivo del Signore farà sorgere il giorno.

Qui ho ripensato al celeberrimo prologo del Vangelo di Giovanni, brano altamente teologico nel quale è condensato tutto il Vangelo nell'immagine evocativa della lotta tra luce e tenebre, 
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Gv 1, 4-9

Infine il tema della festa l'ho ritrovato nella gioia dello sguardo trasognato delle mie bimbe che contemplano il presepe con le sue luci colorate che brillano nella notte.

Sguardi di bambini che guardano il Bambino, Verbo Incarnato, e ci ricordano che il Regno dei cieli è di quelli che sono come loro.
Allora Gesù li chiamò a sé e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. Lc 18,16
Buon Avvento a tutti!

mercoledì 16 novembre 2011

Il colosso dai piedi d'argilla



31Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto. 32Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, 33le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d'argilla. 34Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d'uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d'argilla, e li frantumò. 35Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciare traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta la terra. (Daniele 2,31-35) 

Ho ripensato a questo brano tratto dal profeta Daniele domenica sera quanto Silvio Berlusconi se n'è andato tra i fischi e il giubilo della piazza.

Ho riflettuto su quanto sia ingannevole la ricerca spasmodica del successo e dell'affermazione personale. 

Ingannevole per chi vi assiste perché il colosso sembra invincibile.
Ingannevole per chi la vive perché quella minuscola pietra va a colpire proprio l'unica parte debole di tutta la grande costruzione!

Degno epilogo di una vicenda di delega in bianco all'uomo forte nell'ingenua speranza di poter demandare le proprie responsabilità e la propria salvezza ad una creatura umana.

La Parola di Dio però ci ricorda, riferendosi al Signore Gesù Cristo, che
In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». (Atti 4,12) 
 Affidare la propria salvezza ad un uomo è un percorso che lascia dietro di sé solo macerie e lunghi tempi di ricostruzione, come la storia ci ha innumerevoli volte insegnato... inutilmente!

martedì 8 novembre 2011

Un gioco da bambini...

 Nel gioco il bambino non si propone di raggiungere nulla, non ha alcun scopo. Non mira ad altro che a esplicare le sue forze giovanili, a espandere la sua vita , nella forma disinteressata dei movimenti, delle parole, delle azioni, e con ciò a crescere , a diventar sempre più perfettamente se stesso. (…) Agire liturgicamente significa diventare, col sostegno della grazia, sotto la guida della Chiesa, vivente opera d'arte dinanzi a Dio, con nessun altro scopo se non d'essere e vivere proprio sotto lo sguardo di Dio; significa  compiere la parola del Signore e “diventare come bambini”; rinunciando, una volta per sempre a essere adulti che vogliono agire sempre con finalità determinate per decidersi a giocare, come faceva Davide quando danzava dinanzi all'Arca dell'alleanza.

Questa riflessione si trova nel testo di Romano Guardini “Lo spirito della liturgia. I santi segni”, Morcelliana, 2000, pagg. 77, 81-82.

Romano Guardini (1885-1968) fu un teologo italiano naturalizzato tedesco esponente del movimento liturgico nato nei primi anni del XX secolo che si proponeva una rivalutazione della liturgia, scoprendone i profondi significati teologici al di là del ritualismo.

Mi piace la valorizzazione che Guardini fa della dimensione giocosa e gratuita della liturgia e della vita. 

Tendenzialmente, siamo portati a pensare che ciò che non ha uno scopo immediato e pratico, non sia importante.

Invece il Signore Gesù ci insegna che la gratuità è la scelta per una vita realizzata.

Il nostro Dio è proprio uno “sprecone”! Pensate alle nozze di Cana dove trasforma in vino raffinatissimo l'acqua contenuta in 6 giare, ciascuna di una capacità variabile dagli 80 ai 120 litri!! E ormai quando la festa di nozze sta per finire, come nota il maestro di tavola dopo aver assaggiato il vino!
6Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». (Gv 2, 6-10).
Non a caso Gesù stesso paragona il regno di Dio ad un banchetto di nozze reali: immaginate quale gioia ed abbondanza! (Mt 22,2)

Così dovrebbe essere per noi quando partecipiamo alla Santa Messa: un gioco, dice Romano Guardini, dove sperimentiamo la gioia di agire senza uno scopo utilitaristico, ma solo per esplicare la nostra umanità ed espandere la nostra vita; un banchetto di nozze, dice Gesù, dove sperimentare la gioia di stare insieme e l'abbondanza della mensa e del vino, simbolo di quel “di più” che va oltre lo stretto necessario e che dà qualità alla vita. Perché al Signore Gesù Cristo non basta che viviamo, ma desidera che viviamo pienamente realizzati.

               Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza
               (Gv 10,10)

Ma... i nostri visi esprimono questa gioia quando usciamo dalla Messa?

mercoledì 2 novembre 2011

Il tempo della consapevolezza

In questi giorni le notizie politico-economiche mi lasciano confusa.

Gli indicatori sono gravemente negativi ma nessuno dei nostri governanti sembra disposto a fare un esame di coscienza e ad assumersi la responsabilità di scelte per fronteggiare questa débâcle che sta trascinando nel baratro un intero paese.

Ho assistito allibita ad un talk show dove politici di opposti schieramenti continuavano a rinfacciarsi situazioni pregresse come già molte altre volte in passato, chiusi in una coazione a ripetere che esprimeva soltanto la totale inconsapevolezza del momento particolarmente difficile che richiederebbe lucidità, serietà e dedizione al bene comune.

Fondamentalmente ho colto un arroccamento, fino alla negazione della realtà, di persone che continuano in questa deriva perché ne traggono comunque vantaggio, non lasciandosi interpellare neppure dal prospettato imminente disastro.

Ho ripensato alla parabola di Lazzaro e del ricco epulone.

19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». 25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». 27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». 29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»». (Luca 16, 19-31)

Il ricco epulone è così sicuro e comodo nella situazione che vive che non vuole nemmeno accorgersi del povero che sta ad elemosinare alla sua porta. La parabola non mette in evidenza tanto la cattiveria del ricco, quanto la sua indifferenza.

La povertà, la fame, nel nostro occidente sono sempre state percepite “lontane” per cui, anche sapendo che esistevano, potevamo di fatto ignorarle, in una beata inconsapevolezza che -al massimo- lasciava spazio a qualche gesto caritativo.

Gli immigrati, che in questi ultimi decenni ci hanno sfiorato sulle strade delle nostre città, li abbiamo lasciati andare al loro destino accompagnandoli con uno sguardo a volte di pietà, a volte di fastidio.

Ora però tocca a noi sperimentare, come fu per il ricco epulone, le fiamme di una speculazione finanziaria che ci sta mangiando gli spazi di una vita serena e dignitosa: ci sembra impossibile che nessuno venga ad aiutarci, che non si sia spazio per un sollievo, ma ora si sta avvicinando per noi il tempo dell'indifferenza degli altri.

Come in un gioco di immedesimazione a cui la parabola invita, mi piace pensare che viviamo la situazione dei fratelli del ricco epulone, i quali hanno ancora una chance di salvezza purché sappiano aprire gli occhi sulla realtà e sappiano fare delle scelte consapevoli e amorevoli verso l'altro, verso il bene comune. Nella parabola l'invito è a lasciarsi guidare in questo percorso dalla parola di Dio, Luce del cammino.

Per noi cristiani la Parola è una Persona, il nostro Signore Gesù Cristo che ci ha insegnato che
il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10,45).

Che bello se dalle ceneri di questa crisi nascessero nuovi politici ispirati a questo principio.

E' un sogno??

Il nostro Dio, su questo sogno, si è giocato la vita e ci ha insegnato a fare altrettanto!

martedì 1 novembre 2011

la vita eterna



In occasione della festa di Tutti i Santi vi propongo una piccola riflessione sulla vita eterna partendo dallo spunto di un brano tratto da "L'anima e il suo destino" di Vito Mancuso.

Mi scuso per la voce afona dovuta ad un malanno di stagione.

Buon ascolto e buona festa di Ognissanti!